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Perfino il lunedì / 19

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Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

Io a guidare a fari spenti nella notte non ho mai provato, nè credo che -arrivato a una certa età, nella quale la consapevolezza di cosa è una cazzata è abbastanza strutturata- lo farò. Ma l’idea del buio assoluto, della notte senza riferimenti non ci appartiene più, per comprendere cosa davvero sia la notte e quanto possa essere scura, ostile, misteriosa, bisognerebbe trovarsi all’improvviso in un luogo lontano da ogni civilizzazione, da ogni traccia di luce artificiale. Allora, solo allora, potremmo capire cosa sia la notte e perchè, nei secoli passati, faceva tanta paura.

La Lazio, nella sua storia, è stata vicina alla notte. E’ stata vicinissima al buio assoluto, al nero che tutto assorbe e tutto dissolve. E’ accaduto, tanti anni fa;  chi c’era non potrà mai dimenticarlo, e chi non c’era lo ha imparato dai racconti dei padri e dei nonni, lo ha visto in mille fotografie e in qualche filmato dai colori sbiaditi, magari gelosamente conservato su una vecchia VHS. Lo ha fatto suo, perchè la storia è ciò di cui siamo fatti, è una (possibile) risposta alle fatidiche domande “Chi siamo?” e “Da dove veniamo?”. E tutti sappiamo di Fiorini, di Poli, di mister Fascetti, di Gregucci e di un gruppo di giocatori che non si tirò mai indietro e lottò fino all’ultimo minuto dell’ultima partita.

La Lazio la notte l’ha sfiorata, ma non si è lasciata catturare. L’aquila ha dato un colpo d’ala, e si è risollevata; da quel momento è iniziato un nuovo volo, una nuova ascesa più forte, che l’ha portata maestosa in cima al mondo.

Noi siamo la Lazio. Abbiamo trionfi da ricordare, ma non dimentichiamo niente, e non cancelliamo dietro un silenzio imbarazzato e ipocrita i momenti difficili della nostra storia. Possiamo permettercelo, anzi, dobbiamo farlo, dobbiamo essere così, perchè non essere ciò che si è è il tradimento peggiore che si possa ordire. Noi siamo la Lazio, possiamo celebrare e ricordare trionfi italiani ed europei, ma siamo orgogliosi di essere sfuggiti alla notte, al “Lato Oscuro”, al nulla. E non dimenticheremo mai, MAI, quegli uomini che hanno lottato e combattuto, coi visi stravolti e le gambe spezzate dalla fatica, spinti soltanto dalla forza di volontà e dall’orgoglio dell’aquila sul petto.

La Lazio non se ne è mai andata; l’aquila, quell’aquila, finalmente è tornata.

La maglia bandiera, 10: brividi, lacrime, ricordi, emozioni. Tutto.

Gian Casoni, 10: non fa male ricordare, adesso, un laziale vero. Che alla Lazio ha dato tutto, e regalato un simbolo che ha fatto la storia.

La partita col Milan, 10: se mai fosse servito, in 90 minuti un condensato di storia.

La partita col Milan, 8: è la prima volta, da anni, che la Lazio rimonta e vince. Chissà se è un caso. Mi piace pensare che non sia così.

La partita col Milan, 4: ok, ma non ce n’era bisogno, se si vinceva direttamente andava bene uguale.

La partita col Milan, 4: quale partita? quale Milan?

Lotito, 8: quello che è giusto, è giusto. Se fa una cazzata gli diamo addosso come iene, e allora onestà vuole che quando fa una cosa buona, lo si ringrazi.

Lotito, ng: la punta?

Djordjevic, ng: maccheccazz, non solo ti incasini, ma te fai pure male?

Mauri, 9: il mio capitano non scalcia, non sputa, non scatena risse, non si butta, non simula. Il mio capitano in campo è un uomo, non un pupazzo e tanto meno un pupone.

Marchetti, Biglia, Keita, Cana, Radu, 9: erano anni che non si vedeva una squadra così compatta, e pronta a tutto.

La Lazio, 8: entra in campo prima della fine dell’intervallo, e aspetta: su, venite fuori, che dobbiamo giocare. Lo faceva la Lazio di Simeone e Mihajlovic, lo faceva la Lazio di Oddi e Chinaglia. Brividi.

Mister Pioli, 8: non le azzecca sempre tutte. Ma tira una bella aria, e il merito è in gran parte suo.

Klose, 8: diciamo che è vecchio, ed è inutile mentire, lo è. Ma quando tira fuori una partita come quella di sabato, beh, signori, ti riconcilia col calcio. E capisci perchè è bello avere in squadra Miro Klose, e non un tamarro con le scritte sulla canotta.

Parolo, 10: non (solo) per i due gol, ma perchè la faccia con la quale ha preso il pallone dalla porta e l’ha riportato al centro, beh, dice tutto. Dice cosa è la Lazio, dice cosa vogliono vedere, ogni domenica, per 95 minuti, tutti quelli che non scendono in campo, ma l’aquila sul cuore ce l’hanno lo stesso.

Gli arbitri, 3: non solo sabato all’Olimpico, ma anche domenica e ieri sera si è visto da che parte fischia il vento dei fischietti. L’ho detto l’altra volta: non ci interessa. Rubate, depredate, fate i furbetti. Noi qui giochiamo a calcio. E quando dovete venire qui, quando sapete che stiamo arrivando… preoccupatevi.

Il pubblico della Lazio, 10: la Lazio c’è, i laziali ci sono sempre stati. Ora, però, restiamoci, allo stadio. Non sia lo slancio di una sera: se vogliamo che in campo si lotti ogni maledetta domenica, sia così anche sugli spalti.

 

 


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